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Lunedì 23 Maggio 2011 |
La metamorfosi degli studi di settore |
Sarà rafforzato l'utilizzo in chiave compliance insieme a spesometro e nuovo redditometro E ora cosa faranno da "grandi"? La vita degli studi di settore sembra essere arrivata a una svolta. Difficilmente scompariranno tanto è vero che la scorsa settimana la circolare delle Entrate ha indicato le linee guida dei controlli 2011 anche in questo specifico ambito. Molto probabilmente, però, saranno destinati a convivere con i nuovi strumenti di accertamento che la manovra estiva dello scorso anno ha consegnato al fisco: redditometro e spesometro. Anche perché qualcosa è cambiato dopo il dicembre 2009, quando la Cassazione ha definitivamente chiarito che gli studi da soli non bastano per provare l'evasione ma rappresentano delle "presunzioni semplici" e per essere provate vanno sempre corroborate da altri elementi. Fine dei giochi? No, perché la mutazione era già in atto. Complice anche la crisi economica (con l'introduzione dei correttivi) e una diversa impostazione politica sono diventati uno dei principali strumenti di compliance. Eppure non è stato sempre così. Basti pensare al passaggio della legislatura 2006-2008, quando vice-ministro dell'Economia era Vincenzo Visco. Allora la parola più accostata agli studi di settore era �«stretta�». Gli effetti si vedono a distanza di tempo: i contribuenti naturalmente congrui sono stati il 56-60% tra il 2006 e il 2008, mentre prima e dopo le percentuali sono state notevolmente più alte. Per i diretti interessati il ricordo della scansione temporale è tutt'altro che sfuocato.
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