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Venerdì 16 Ottobre 2009
Indennità di cambio sede: si tassa ma non sempre con sanzione
L'applicazione della "pena" va valutata dal giudice di merito sulla base del comportamento del contribuente
Con la pronuncia n. 20631 del 25 settembre, la Corte di cassazione ha deciso per la tassabilità, ai sensi del vigente articolo 51, comma 7, del Tuir (ex articolo 48), dell'indennizzo, per il maggior canone di locazione, corrisposto al dipendente trasferito d'ufficio presso un'altra sede lavorativa.

Tuttavia, ha puntualizzato la Suprema corte, l'applicazione della sanzione a carico del lavoratore, per l'omesso versamento dell'imposta dovuta, non è automatica, ma deve trovare fondamento solo ove tale omissione sia dipesa da dolo o colpa grave del lavoratore stesso. Valutazione, quest'ultima, che spetta al giudice di merito, qualora investito della questione.

Un lavoratore bancario, per disposizione aziendale non preventivamente concordata, viene destinato ad altra sede a cui fa seguito il trasferimento dell'abitazione familiare. A fronte di tale trasferimento il datore di lavoro corrisponde al dipendente un indennizzo per il maggiore canone di locazione pagato, non assoggettato a tassazione stante la sua natura risarcitoria conseguente a un danno generato da un provvedimento preso dai vertici amministrativi dell'Istituto di credito.

L'ufficio finanziario, ritenendo invece imponibile tale indennizzo, notifica al lavoratore un avviso di accertamento prontamente impugnato da quest'ultimo innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano che respinge il ricorso con una pronuncia confermata poi dai giudici di appello, nella considerazione della totale imponibilità della somma corrisposta non avendo la stessa natura risarcitoria e trattandosi in ogni caso di una erogazione forfetaria.

Il contribuente propone allora ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
Con il primo, il lavoratore lamenta la sua presunta carenza di legittimazione attiva, incombendo sul datore di lavoro l'onere di sottoporre a ritenuta le somme a lui corrisposte.
Per la Cassazione tale motivo è infondato nella considerazione che "…il fisco quando ritiene che le imposte non gli siano state esattamente versate emette avviso di accertamento a carico del lavoratore subordinato, e gli contesta la mancata inclusione nella denuncia annuale di una componente di reddito tassabile, anche quando la stessa sia soggetta alla ritenuta di acconto prescritta dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 23, ed il datore di lavoro abbia omesso di effettuare e versare tale ritenuta, non influendo la sostituzione di imposta sulla posizione e gli obblighi del lavoratore sostituito (Cass. 26 maggio 2003 n. 8280)".

Con il secondo, il contribuente ritiene non tassabile l'indennizzo di trasferimento trattandosi di un ristoro per i maggiori costi locativi sostenuti.
Per la Cassazione, anche questo motivo non merita accoglimento. Infatti "Come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte il suddetto indennizzo è sottoposto a tassazione essendo esonerate dalla tassabilità esclusivamente il recupero delle spese di viaggio e trasporto (Cass. 38 febbraio 2000 n. 2212, 8 marzo 2000 n. 2611, 21 marzo 2000 n. 3330 nonché la sopra citata sentenza di questa Corte)".

Infine, con il terzo motivo, il lavoratore eccepisce la violazione dell'articolo 55, ultimo comma, del Dpr 600/1973 (articolo abrogato dal 1 luglio 1998, ad opera dell'articolo 16 del Dlgs 471/1997) con il quale si stabiliva che "Gli organi del contenzioso tributario possono dichiarare non dovute le pene pecuniarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce".
Questo motivo, invece, trova accoglimento da parte dei giudici di piazza Cavour – che, di conseguenza, hanno cassato con rinvio la sentenza d'appello – nella considerazione che spetta al giudice tributario valutare la sussistenza, nel caso concreto, quantomeno della colpa a carico del soggetto interessato, e che lo stesso non è punibile qualora abbia agito in buona fede, o abbia errato per l'incertezza obiettiva della norma tributaria.
Al riguardo la Cassazione richiama una sua precedente pronuncia, la n. 1328/2007, nella quale ha affermato che, in materia di sanzioni, si deve applicare l'articolo 5 del Dlgs 472/1997 – anche ai rapporti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore, cioè il 1 luglio 1998 – che richiede non più la semplice volontarietà dell'evento, ma pure il dolo o, quantomeno, la colpa grave dell'agente.

Osservazioni
Il caso descritto offre lo spunto per esaminare brevemente la problematica inerente alla disciplina fiscale delle somme che – in conformità alla contrattazione collettiva, ad accordi aziendali o a disposizioni specifiche – vengono liquidate in caso di trasferimento del lavoratore chiamato a prestare servizio in altra sede di lavoro.
Nell'ambito dell'indennità di trasferimento rientra, poi, il problema della tassabilità del contributo per differenza del canone di affitto corrisposto al lavoratore a seguito della destinazione in un luogo diverso da quello in cui originariamente svolgeva le proprie mansioni.
La natura di tale contributo è controversa e l'orientamento giurisprudenziale si è diviso tra imponibilità ed esclusione da tassazione delle somme elargite al lavoratore in occasione del cambiamento di sede (per la tassabilità: Cassazione, sentenze nn. 21228/2008, 13182/2000, 2604/2000, 2611/2000 e 5782/2000. Per l'esclusione, Cassazione, sentenze nn. 14198/1999, 14006/1999, 798/2000 e 1514/2000).

In particolare, l'esclusione dall'imponibilità non sarebbe legata alla natura risarcitoria del contributo – intesa nel senso di un ristoro di un sacrificio economico – ma alla funzione indennitaria dello stesso, in quanto compensazione del disagio economico patito dal dipendente.
Ciò premesso, la disposizione di cui all'articolo 51, comma 7, del Tuir – secondo la quale le indennità di trasferimento sono imponibili nella misura del 50% del loro ammontare – costituisce un contemperamento di interessi operato dal legislatore.
Da un lato tiene conto delle reali esigenze dei lavoratori, in considerazione del carattere straordinario delle spese connesse al mutamento della sede lavorativa rispetto al normale adempimento dell'obbligazione lavorativa, dall'altro impedisce che l'indennità di trasferimento venga strumentalmente utilizzata dal datore di lavoro per attribuire ai propri dipendenti compensi extra, esclusi da tassazione.

In ordine poi all'applicabilità o meno delle sanzioni a fronte del mancato versamento dell'imposta da parte del contribuente, la Cassazione – con la sentenza in esame – ha ribadito quanto già precisato nella pronuncia n. 1958/2006 laddove ebbe a dire che "è configurabile un errore sulla norma tributaria - rilevante, ai sensi dell'art. 8 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, al fine di escludere l'applicazione delle sanzioni non penali conseguenti alla violazione commessa dal contribuente - nelle ipotesi in cui le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della stessa (nella specie, relativa alla determinazione del reddito di lavoro dipendente) dipendano dalla presenza di un orientamento giurisprudenziale (solo successivamente superato) escludente l'assoggettamento a tassazione del provento e dal conseguente mancato assoggettamento a ritenuta da parte del datore di lavoro (fattispecie in tema di corresponsione al dipendente di un'azienda di credito, in occasione del trasferimento ad altra sede, del contributo per differenza canone di locazione e per , nel periodo anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 314 del 2 settembre 1997; la Cassazione ha ritenuto di poter applicare essa stessa - ex art. 384 del codice di procedura civile - la norma che esclude la sanzione)".

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