News |
|
Lunedì 28 Settembre 2009  |
Alla Snc si accerta l'evasione, il socio paga il mancato controllo |
Legittima la sanzione per infedele dichiarazione. La questione non configura ipotesi di litisconsorzio necessario Risponde delle sanzioni di "infedele dichiarazione" il socio di una società di persone, sia esso o meno amministratore, che omette di indicare nella propria dichiarazione fiscale il reddito accertato nei confronti della società cui appartiene. Questo, in sintesi, il principio di diritto desumibile dalla sentenza della Cassazione n. 19456, depositata lo scorso 10 settembre.
La vicenda La controversia trae origine dall'emissione di un avviso di accertamento, con il quale l'agenzia delle Entrate ha rettificato, a seguito di un accertamento nei confronti di una Snc, il reddito di partecipazione di uno dei soci. Contro l'atto, e limitatamente all'applicazione della sanzione di "infedele dichiarazione", il contribuente proponeva ricorso. La Commissione tributaria di primo grado decideva a favore del contribuente e, successivamente, i giudici di appello confermavano tale indirizzo, osservando che le pene pecuniarie non sono applicabili nei confronti dei soci compartecipi, essendo la loro dichiarazione "il riflesso di quella presentata dalla società". Successivamente, la Commissione tributaria centrale accoglieva il ricorso dell'Amministrazione, ritenendo legittime le sanzioni irrogate in virtù della definitività dell'accertamento del reddito. Il contribuente proponeva ricorso in Cassazione deducendo, con unico motivo, la violazione del Dpr 600/1973, articolo 40, comma 2, in relazione all'articolo 360 cpc, comma 1, n. 3.
La sentenza della Corte In via preliminare, la Suprema corte ha precisato che la controversia circoscritta alla sola questione relativa all'applicabilità della sanzione pecuniaria al socio, in quanto strettamente attinente allo stesso e non estendibile alla società a base personale o agli altri soci, non configura un'ipotesi di litisconsorzio necessario, così come stabilito dalle sezioni unite con la sentenza 14815/2008.
Ciò premesso, il Collegio giudicante ha rigettato il ricorso del contribuente, asserendo che è legittima l'irrogazione della sanzione di "infedele dichiarazione" nei riguardi del socio che, nella propria dichiarazione dei redditi, indichi sottoforma di reddito di partecipazione, il reddito occultato dalla società in nome collettivo cui fa parte.
In particolare, secondo i giudici, l'irrogazione della sanzione trova giustificazione "…nella dichiarazione di un reddito inferiore a quello imponibile…" da parte del socio, il quale "…non può farsi scudo della società, attribuendo esclusivamente ad essa la violazione fiscale, atteso che la sua posizione nell'ambito della compagine sociale, tanto nel caso in cui non rivesta la carica di amministratore, quanto, a maggior ragione, qualora come la rivesta, gli consente il controllo dell'attività della società e della sua contabilità e quindi di verificare l'effettivo ammontare del suo reddito e, pertanto, degli utili conseguiti in proporzione alla propria quota di partecipazione…".
Osservazioni Secondo l'articolo 5, comma 1, del Dlgs 472/1997 (principio di colpevolezza), affinché si possa configurare un illecito amministrativo-tributario, è necessario che il trasgressore sia autore di un'azione ovvero di una omissione, cosciente e volontaria (elemento oggettivo), sia essa dolosa o colposa (elemento soggettivo). La decisione in commento appare interessante poiché traduce in concreto quelli che sono, secondo il citato articolo, gli elementi necessari a configurare l'illecito di "infedele dichiarazione".
Dalla motivazione della sentenza si evince che la volontarietà della condotta (elemento oggettivo) è ravvisabile nella mancata inclusione da parte del socio, nella propria dichiarazione, del reddito derivatogli dalla partecipazione agli utili occultati dalla società. Infatti, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, del Tuir, il reddito della società di persone è attribuito per "trasparenza" al socio indipendentemente dalla sua effettiva percezione e in proporzione alla sua quota. In virtù di questa "automatica"attribuzione, ogni omissione della società si traduce in una omissione del socio che, a sua volta, la fa propria attraverso la sottoscrizione della sua dichiarazione (in senso conforme, si vedano anche Cassazione, sentenze 14038/2006, 2699/2002, 125/1993).
L'elemento soggettivo, sottoforma di comportamento colposo, è ravvisabile, invece, nell'omissione da parte del socio, sia esso o meno amministratore della società di persone, in ordine al controllo dell'attività societaria e della sua contabilità. Tale assunto, trova conferma in altre pronunce della Suprema corte, ove si afferma esplicitamente che "La sanzione non viene quindi irrogata sulla base della mera volontarietà, in contrasto con l'elemento della colpevolezza introdotto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, consistendo la colpa, per i soci non amministratori, nell'omesso o insufficiente esercizio del potere di controllo sullo svolgimento degli affari sociali e di consultazione dei documenti contabili…"(sentenze 19192/2006 e 23864/2007).
Infine, è importante sottolineare che il principio affermato, seppure riferito all'illecito di "infedele dichiarazione" ante-riforma del sistema sanzionatorio (articolo 46, Dpr 600/1973), per le considerazioni sopra svolte (individuazione in concreto di tutti gli elementi necessari per configurare l'illecito amministrativo in questione), può trovare applicazione anche per la sanzione di "infedele dichiarazione" attualmente in vigore (a tal proposito, si veda l'articolo 1, comma 2, del Dlgs 471/1997).
FiscoOggi.it |
torna all'archivio News |
|
|
|